SmartWorking-2

Una situazione d’emergenza come quella che stiamo vivendo, non è di per sé il momento migliore per un processo di riorganizzazione, ma se l’alternativa sono la drastica riduzione o il sostanziale fermo delle attività produttive, qualcosa si deve fare.

La buona notizia è che qualcosa si può fare e che si possono ottenere risultati anche in questo periodo in cui la mobilità è limitata. L’obiettivo è ridurre in modo drastico l’afflusso di persone in azienda (e i conseguenti rischi di contagio) garantendo la massima continuità dei processi funzionali.

Gli strumenti normativi esistono già e non è questa la sede per approfondirli. L’importante è sapere che il legislatore ha previsto già da tempo quanto necessario per regolare i rapporti di lavoro in Smart Working e che alcune aziende stanno già operando in questa modalità per cui, fatta salva l’inevitabile (ma in questo caso sopportabile) burocrazia, questo aspetto non rappresenta un problema.

Il primo passo è ovviamente un’analisi dell’esistente, per capire quanto l’azienda sia già pronta o almeno predisposta e quali interventi siano necessari sui processi, sull’organizzazione e sulle risorse umane, per arrivare in pochi giorni al livello di Smart-Working necessario a garantire, allo stesso tempo, l’incolumità delle persone, il rispetto delle norme e la continuità del lavoro.

«Bisogna comunque sempre tener presente che adottare lo Smart Working non vuol dire soltanto lavorare da casa e utilizzare le nuove tecnologie, lo Smart Working non è il telelavoro: è anche, e soprattutto, un paradigma che prevede la revisione del modello di leadership e dell’organizzazione, rafforzando il concetto di collaborazione e favorendo la condivisione di spazi» sostiene Emanuele Madini di Partners4Innovation

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